Il Piemonte nella storia dell’informatica e la P101
“… gli innovatori hanno vita difficile, perché sono e
rischiano di restare soli. Hanno infatti sicuramente l’opposizione
dei conservatori, e, assai tiepidamente, l’appoggio di altri innovatori,
sia perchè il futuro non è mai così chiaro sia perchè un difetto diffuso
tra gli innovatori è quello di non essercene due che la pensano allo stesso modo.”
P.G. Perotto, “L’origine del futuro: manuale d’ingegneria del futuro per innovatori, manager uomini di buona volontà”
Quando parliamo di informatica e computer, strumenti che quotidianamente accompagnano le nostre giornate, siamo soliti riferirci ad un immaginario dominato da imprese americane leader nel settore che hanno rivoluzionato il nostro modo di lavorare e di trascorrere il tempo libero, e che hanno contribuito a creare l’idea che tutto ciò che è stato fatto in questo settore sia strettamente made in USA.
Ma esiste un’altra storia, poco conosciuta e meno raccontata, che non è ambientata nella famosa “Silicon Valley” in California e non vede un gruppo di tecnici americani alle prese con nuove tecnologie destinate a cambiare il mondo: e’ un’altra storia, tutta italiana, che si svolge a Torino e in particolare ad Ivrea e vede protagonisti luoghi e personaggi di certo a noi più familiari, che pure sono divenuti protagonisti nello stesso settore dei calcolatori e della nascente informatica.
Per cercarne le tracce si può risalire nel tempo addirittura alla fine del 1840, quando un matematico inglese, Charles Babbage, si presenta al comitato dell’Accademia delle Scienze di Torino con uno strano e nuovo congegno che avrà successivamente il nome del suo creatore: “la macchina di Babbage” è un rudimentale calcolatore che funziona a schede perforanti. Siamo ancora molto distanti dai moderni computer che abbiamo oggi sulle scrivanie, ma per la prima volta si fa largo l’idea che possa essere una macchina, e non l’uomo a svolgere operazioni di calcolo complesse.
La città sabauda scrive così il suo nome ai primissimi albori di quello che sarà lo sviluppo informatico, ma come sappiamo, in modo talvolta curioso e poco lineare, la storia tende a ripetersi: oltre un secolo dopo, ancora nei dintorni di Torino, un’azienda con sede a Ivrea, la Olivetti, diverrà un centro importante per lo sviluppo tecnologico italiano nel campo della nascente informatica.
Siamo ora negli anni ’60 e l’Italia vola sulle ali di un boom economico che sta trasformando un paese rurale in una delle maggiori potenze industriali del pianeta: la Olivetti, una delle aziende che traina lo sviluppo del paese, è unica nel panorama nazionale: dal 1938 è alla sua guida Adriano Olivetti, che interpreta il ruolo dell’azienda in modo del tutto innovativo e che considera la missione non solo quella di realizzare profitti, ma di creare un sistema di valori condiviso e di trasformare la fabbrica in un luogo “dominato dal progresso, guidato dalla giustizia e ispirato dalla bellezza”. I lavoratori della Olivetti godono di condizioni salariali e normative superiori rispetto alla media, e vengono educati, oltre che al lavoro di fabbrica, alla sensibilità artistica e letteraria e Ivrea, dall’essere località poco conosciuta, diventa in breve tempo meta di architetti, intellettuali, sociologi, artisti e altre personalità attratte dal fascino della azienda e dal carisma del suo presidente. Tutto ciò contribuisce alla creazione dello Stile Olivetti, codificato per la prima volta dal quotidiano svizzero di Weltwoch nel 1957. Lo Stile si manifesta contemporanamente nelle diverse espressioni della vita quotidiana dell’azienda. Non esistono confini rigidi fra diversi campi di lavoro. Gli architetti della Olivetti che progettano le fabbriche, I palazzi per gli uffici e le abitazioni per gli operai, sono anche gli stessi che disegnano I tasti delle macchine per scrivere e le carrozzerie delle macchine. Il progetto industriale si basa su una continua ricerca scientifica abbinata alla ricerca della massima estetica.
Lo stile Olivetti si declina in ogni attività dell’azienda e fa sì che la società eporediese diventi una multinazionale in grado, alla metà degli anni ’60, di esportare i propri prodotti in 117 diversi paesi.
Lo spirito utopico e idealista di Adriano Olivetti lo spinge costantemente verso l’innovazione e alla ricerca di una sintesi tra spirito tecnico e conoscenza umanistica: è questa mentalità che lo porta ad occuparsi di elettronica, un settore diverso da quello tradizionale dell’azienda ma che Adriano è convinto possa apportare grandi cambiamenti non soltanto produttivi, ma anche sociali e umani.
Così già nel 1955 nasce, su sollecitazione di Roberto, primogenito di Adriano Olivetti, in un quartiere di Pisa, il primo gruppo al lavoro su componenti elettronici: è composto da un ristretto gruppo di ingegneri, quando vi arriva a lavorare Giorgio Perotto (uno dei protagonisti della nostra storia, ingegnere ed ex-ricercatore del Politecnico di Torino) nel 1957, vi descrive un ambiente simile a “Los Alamos, dove era stata costruita la bomba atomica” e dove tutti gli addetti esibivano comportamenti anticonformisti, come il vestire trasandati o fare ricorso unicamente alla bicicletta come mezzo di trasporto. A capo di questo gruppo c’è Mario Tchou, un geniale ingegnere di origini cinesi; alla fiera di Milano, nel ’59, il gruppo di lavoro presenta per la prima volta il suo principale prodotto, l’Elea 9003 un calcolatore di grosse dimensioni completamente a transistor e al passo con le tecnologie più avanzate, che in pochi anni riuscirà a coprire il 25% del mercato domestico. A metà degli anni ’60 la divisione elettronica Olivetti, nel frattempo trasferitasi a Milano, è arrivata ad avere oltre 3000 dipendenti.
E’ in questo ambiente, e in particolar modo per iniziativa di Giorgio Perotto, (probabilmente su indicazione di Roberto Olivetti) che nasce, verso la fine del 1963, per la prima volta l’idea di un calcolatore di tipo nuovo, non destinato unicamente al lavoro di pochi specialisti e che possa diventare un oggetto alla portata di tutti sia per le modalità di utilizzo che per le sue dimensioni: è il “sogno” di una macchina che possa effettuare facilmente operazioni faticose per l’uomo e che abbia capacità di apprendere da questo, che possa essere utilizzata senza conoscenze tecniche particolari e che possa essere destinata ad un uso quotidiano popolando, grazie alle sue dimensioni ridotte, non solo gli uffici ma anche le abitazioni private. Un prodotto nuovo, a metà tra le calcolatrici di piccole dimensioni e i grandi calcolatori, come l’Elea 9003, che miri anzitutto a semplificare il rapporto tra uomo e macchina e che si distingue anche per il design fortemente innovativo a firma di Ettore Sottsass.
Per realizzarla, il piccolo gruppo di tecnici sotto la guida di Perotto – tra cui Giovanni De Sandre e Gastone Garziera affrontano problemi totalmente sconosciuti per l’epoca, come il dover modellare nelle sue componenti, nel suo design e nelle sue funzioni qualcosa di totalmente nuovo per proporre non solo un prototipo da laboratorio, ma un prodotto che sia possibile commercializzare sul mercato in tempi brevi. Seguono mesi di lavoro frenetico: i piccoli successi quotidiani nello sviluppo delle componenti sono intervallati da momenti di sconforto, ripensamenti e frustrazioni. Tuttavia arrivati all’autunno del 1964 lo sviluppo delle singole componenti della macchina è terminato; si tratta ora di assemblarla e verificarne il funzionamento: nei locali dello stabilimento di San Lorenzo a Ivrea la “Perottina”, come viene affettuosamente chiamata dal nome del suo principale ideatore, ha il suo battesimo. L’assemblaggio dei pezzi va a buon fine e la macchina inizia regolarmente a funzionare.
Presentata a Natale Capellaro, uno degli storici inventori della fabbrica di Ivrea, ci si accorge subito che la “Perottina” ha funzionalità e potenzialità inarrivabili per i prodotti meccanici dell’epoca: è dotata di 10 registri di memoria, un linguaggio intuitivo di programmazione, la possibilità di registrare dati e programmi su una scheda magnetica non dissimile da un floppy disk e una stampante integrata, il tutto in un oggetto che può stare su una scrivania. Tanto che, secondo Perotto, Capellaro dopo averla vista all’opera, arriverà ad ammettere che “l’era della meccanica è finita”: e in effetti la “Programma 101” – nome ufficiale del prodotto – sembra avere poco a che fare con i classici prodotti dell’azienda di Ivrea ed essere più simile, per caratteristiche, ai moderni computer che ogni giorno utilizziamo.
Verificato il funzionamento della macchina il prossimo obiettivo, nonostante la riluttanza di alcuni settori della Olivetti poco persuasi della bontà del prodotto, diventa quello di presentare la macchina all’esposizione di New York dei prodotti per ufficio (BEMA) del 1965: rifinita da un design accattivante opera dell’architetto Mario Bellini, la P101 viene esposta in una saletta lontana dai riflettori ma diventa in breve tempo la vera attrazione della fiera, ottenendo un successo di critica e pubblico per certi versi clamoroso. Gli stessi concorrenti americani riconosceranno alla P101 una intrinseca validità, come dimostra il lancio di prodotti simili negli anni successivi.
Tuttavia, se fin qui la storia della P101 sembra una storia di creatività e successo destinata a durare nel tempo, la sua conclusione racconta anche di una straordinaria opportunità perduta dall’industria italiana, dalla Olivetti e dal suo comparto elettronico, opportunità che avrebbe portato l’Italia alla guida di un settore determinante nei decenni successivi. Nonostante le buone vendite della P101 (oltre 40.000 esemplari) l’azienda di Ivrea non riuscirà a cavalcare l’ondata di innovazione generata dalla macchina, mentre le aziende americane, anche copiando a piene mani da quanto realizzato da Perotto, non perderanno negli anni successivi il treno dello sviluppo informatico. Le vicende che abbiamo raccontato si legano e sono contemporanee infatti all’inizio della crisi dell’azienda, seguita alla morte di Adriano Olivetti (1960) e alla cessione della Divisione Elettronica Olivetti (avvenuta nel 1964) alla General Electric, meno interessata allo sviluppo di un piccolo calcolatore.
Nonostante questo la “Programma 101” è ancora oggi ricordata, da appassionati e nostalgici del prodotto o da chi in quel periodo ne ha avuta una a casa o in ufficio, come un geniale prodotto rivoluzionario per i tempi, che realizzò quel “sogno” iniziale del suo principale ingegnere, ovvero la creazione di una comoda macchina al servizio dell’uomo per aiutarlo in operazioni complesse, antenata degli odierni Personal Computer che ormai ogni giorno utilizziamo per studiare, lavorare e organizzare le nostre giornate.
Testo a cura di Michele Tommasi, public historian
Bibliografia
- C.C Fiorentino, Congegni Sapienti. Stile Olivetti: il pensiero che realizza, Hapax Editore, 2016
- G. Parolini, Mario Tchou : ricerca e sviluppo per l’elettronica Olivetti, Milano, Egea, 2015
- P.G. Perotto, L’origine del futuro: manuale d’ingegneria del futuro per innovatori, manager uomini di buona volontà, Franco Angeli, 1991
- M. Bolognani, Bit Generation. La fine della Olivetti e il declino dell’informatica italiana, Editori Riuniti, 2004
- L. Soria, Informatica: un’occasione perduta. La Divisione elettronica Olivetti nei primi anni del centrosinistra, Einaudi, 1979
- P.G. Perotto, Programma 101, L’invenzione del personal computer, una storia appassionante mai raccontata